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ASSEGNO D’INVALIDITÀ: ORA SPETTA L’INTEGRAZIONE AL MINIMO ANCHE CON IL SOLO CONTRIBUTIVO

ASSEGNO D’INVALIDITÀ: ORA SPETTA L’INTEGRAZIONE AL MINIMO ANCHE CON IL SOLO CONTRIBUTIVO

La Corte costituzionale cancella una disparità: illegittima la norma della Riforma Dini che escludeva dal beneficio i titolari di assegno ordinario calcolato integralmente col sistema contributivo.

Roma, 3 luglio 2025 – Con la sentenza n. 94/2025, la Corte costituzionale interviene con forza a favore dei lavoratori disabili, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 16, della legge 335/1995 (la cosiddetta “Riforma Dini”), nella parte in cui esclude l’integrazione al trattamento minimo per gli assegni ordinari di invalidità interamente calcolati con il sistema contributivo. La norma, in vigore da trent’anni, aveva introdotto una distinzione netta tra assegni di invalidità contributivi puri e quelli maturati con metodo misto o retributivo, negando ai primi il diritto alla quota integrativa. Una scelta giustificata allora dalla necessità di contenere la spesa previdenziale, ma che oggi la Consulta ha ritenuto lesiva dei principi di uguaglianza (art. 3) e di tutela dei lavoratori inabili (art. 38, secondo comma) sanciti dalla Costituzione.

Un sostegno che va oltre la previdenza: la natura “ponte” dell’assegno di invalidità

L’assegno ordinario d’invalidità è riconosciuto a chi, a causa di patologie fisiche o mentali, ha subito una riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo. Non si tratta di una pensione vera e propria, ma di una prestazione “ponte” a carattere misto, pensata per sostenere economicamente lavoratori in età attiva, in attesa della pensione di vecchiaia o di un eventuale miglioramento delle condizioni di salute. Proprio per questa natura particolare, fin dalla sua introduzione con la legge n. 222 del 1984, l’assegno ha previsto, in determinate condizioni, l’integrazione al minimo come forma di sostegno assistenziale aggiuntivo. Ma con l’adozione del sistema contributivo, dal 1996, chi maturava il diritto esclusivamente con questa modalità era automaticamente escluso dal beneficio.

La Corte ha sottolineato che la mancata erogazione dell’integrazione ai contributivi puri non ha mai generato risparmi reali per lo Stato. Infatti, tale quota non grava sul bilancio previdenziale, ma è finanziata dal fondo assistenziale GIAS (Gestione degli Interventi Assistenziali e di Sostegno alle Gestioni Previdenziali), alimentato dalla fiscalità generale. Si tratta quindi di un sostegno pubblico che nulla ha a che vedere con i contributi versati dal lavoratore. L’effetto pratico dell’esclusione era quello di lasciare molti invalidi in età lavorativa in condizioni di grave disagio economico, specialmente se non avevano accesso ad altri strumenti di tutela, come l’assegno di invalidità civile o l’assegno unico familiare.

Natura anticipata, non assimilabile a pensione di vecchiaia

Uno degli argomenti centrali della sentenza riguarda proprio la funzione specifica dell’assegno di invalidità: non è una pensione per anziani, ma una misura temporanea e anticipata, pensata per far fronte a una condizione di inabilità parziale durante il periodo attivo della vita lavorativa. Equipararla ad altri trattamenti esclusi dall’integrazione al minimo, come fatto dalla legge del 1995, è stato quindi ritenuto incostituzionale.

Effetti della sentenza: niente retroattività, ma via libera al futuro

Pur riconoscendo l’illegittimità della norma, la Corte ha limitato gli effetti della pronuncia nel tempo: il diritto all’integrazione al minimo decorre dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale, escludendo quindi la possibilità di richiedere arretrati. Una scelta motivata dall’esigenza di evitare impatti troppo onerosi per le finanze pubbliche. La sentenza n. 94/2025 rappresenta un passo fondamentale per il riequilibrio dei diritti sociali e la protezione dei soggetti più fragili nel nostro ordinamento. Con questa pronuncia, la Corte costituzionale riafferma che la tutela della disabilità lavorativa non può essere subordinata al tipo di calcolo pensionistico adottato, ma deve fondarsi su una logica di sostegno alla dignità della persona, in coerenza con i principi fondamentali della Costituzione.

In attesa di eventuali interventi legislativi attuativi o di chiarimenti da parte dell’INPS, la decisione apre le porte a migliaia di lavoratori invalidi esclusi finora dall’integrazione, restituendo equità e coerenza al sistema.

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